Com’è nata la Samson Society

Com’è nata la Samson Society

Siccome ero lento ad accettare le decisioni altrui, ebbi spesso delle ricadute durante la fase iniziale del mio percorso. I miei nuovi amici non mi forzarono ad accettare il loro aiuto, ma neanche mi abbandonarono. La porta era sempre aperta. Dopo ogni confessione riaffermavano il mio coraggio e mi chiamavano a un livello ulteriore di onestà, umiltà e fiducia.

Passo dopo passo, mentre continuavo a partecipare agli incontri, fare chiamate, e a farmi strada tra i Dodici Passi, venni a patti con il mondo e con me stesso. Mentre lo facevo, le mie compulsioni sessuali distruttive diminuirono gradualmente. Riuscivo ancora a sentire la tentazione che mi attirava ogni tanto, ma le pulsioni perdevano il loro potere quando le condividevo con i miei amici. Attraverso innumerevoli incontri e conversazioni, quegli amici mi impartirono i principi della sobrietà positiva, insegnandomi a vivere in collaborazione e mostrandomi una serie di semplici strumenti spirituali per mantenere la libertà.

Ogni anno che passava, iniziavo a credere il Vangelo un po’ di più. Esiste veramente un Dio. Mi ama veramente. Gesù ha veramente risolto il problema del mio peccato, e sta lavorando oggi attraverso la comunità del suo popolo. Sono veramente un figlio restaurato del sovrano Signore.

La prova più potente dell’esistenza di Dio era la trasformazione che stava avvenendo nella mia persona.

Mentre identificavo i miei difetti e li consegnavo a Dio, riuscivo a sentirmi progressivamente meno egocentrico, meno difensivo, meno risentito e spaventato. Stavo diventando più onesto, più amorevole, più pienamente presente nella mia vita e in quella di altri. Pure Allie vedeva questi cambiamenti, e iniziò lentamente ad avere fiducia che fossero reali. Lentamente iniziò a fidarsi di me di nuovo. Quella fiducia formò la base per la guarigione della nostra relazione, ma c’era ancora parecchio lavoro da fare.

Con i miei impulsi di isolamento ora in remissione, iniziai a passare parecchio tempo in pubblico, frequentando dei bar, avendo conversazioni amichevoli con estranei. Gradualmente, mentre iniziavo a conoscere persone e delle aperture si presentavano, iniziavo a condividere la mia storia con altri. All’inizio facevo attenzione. Se il momento sembrava giusto, menzionavo casualmente che la mia vita era stata un vero disastro ma stava migliorando. Se sembrava interessato, gli avrei dato qualche dettaglio, parlando in maniera generale di dipendenze e delle lezioni che stavo imparando. Se insisteva nel saperne di più, avrei tirato fuori la questione della lussuria. Ho trovato che la maggior parte degli uomini a cui parlavo non erano sesso-dipendenti – non avevano inseguito la lussuria come avevo fatto io – ma ognuno di loro comprese la mia storia e riuscì a immedesimarsi in qualche maniera. Se un uomo condivideva parte della sua storia con me e mi chiedeva aiuto, gli offrivo di camminare insieme per un pezzo di strada.

Raccontai alla fine la mia storia al mio pastore e gli diedi il permesso di dare il mio numero di telefono a chiunque pensasse io fossi in grado di aiutare. Non passò molto tempo che iniziai a ricevere dei messaggi criptati per telefono. “Ho parlato col pastore Scotty oggi riguardo una cosa”, diceva una voce sconosciuta, “e ha suggerito di parlarti. Hai tempo?”

Il mio amico Mike O’ Neill, un counselor per dipendenze e un ex alcolista, mi disse che tutti coloro che soffrono di una dipendenza condividono un’architettura interiore, una ragnatela comune di atteggiamenti e credenze che possono manifestarsi in una larga varietà di comportamenti compulsivi. Persone che hanno una dipendenza in comune si comprendono più facilmente, ma ciò che aiuta qualcuno che soffre di una dipendenza sarà probabilmente utile anche ad un altro, anche se le loro dipendenze sono diverse. Armato di quella conoscenza, mi ritrovai presto ad aiutare maniaci del lavoro e alcolisti, persone dipendenti dal cibo e spendaccioni compulsivi. Fui sorpreso di imparare che persino persone senza uno schema identificabile di comportamenti che creano dipendenza volessero passare del tempo con me. La maggior parte di loro aveva vissuto in isolamento per lungo tempo. Avrebbero potuto essere potenzialmente persone con una dipendenza, ma riuscivano a sentire i Filistei che arrivavano, e videro una libertà in me che volevano per sé stessi.

Il mio circolo di conoscenze crebbe in larghezza. Alcuni se ne andarono via, ma altri presero presto il loro posto. In un paio di anni mi sarei incontrato faccia a faccia con circa una dozzina di uomini ogni settimana e parlando con ancora di più ogni settimana. La maggior parte di questi amici non apparteneva a nessun gruppo dei Dodici Passi, o perché non avevano una dipendenza o perché non avevano trovato un ambiente di recupero in cui si sentissero a loro agio. Amavo distribuirgli saggezza, dargli speranza e fare la differenza nelle loro vite.

Col tempo, però, iniziai a sentirmi a disagio riguardo il mio ruolo. Le persone mi ammiravano. Mi piaceva la loro attenzione. Mi piaceva che qualcuno avesse bisogno di me. Ma sebbene insistessi sul tema della “onestà rigorosa,” notai che un giorno ero caduto nell’abitudine di esagerare i miei successi e minimizzare le mie lotte. La realizzazione mi scosse. La menzionai ad Allie e lei fu d’accordo; ero su un terreno minato.

Non avevo detto nessuno dei segreti dei miei amici ad Allie – non conosceva neanche tutti i loro nomi – ma ora la sua curiosità era stata solleticata, e lei perseguì la questione con tutte le abilità di un procuratore federale. “Queste persone con cui parli ogni giorno, si conoscono a vicenda?” chiese.

“No”, dissi. “Conoscono tutte me”.

Qualcuno di loro si conosce?”

“Sì, alcuni sì”.

“C’è qualcuno di loro che si chiama a vicenda, o chiamano tutti solamente te?”

“Penso che chiamino solamente me”.

“Perché?”.

“Perché gliel’ho chiesto io. Vengo aiutato aiutandoli”.

“Gli dici di chiamarsi l’un l’altro?”

“No.”

“Li aiuterebbe aiutare qualcun altro?” 

“Sì, sono sicuro che li aiuterebbe”.

“Allora perché non gli hai detto di chiamarsi l’un l’altro?”

“Non mi è mai passato per la mente”.

“E perché pensi non ti sia mai passato per la mente?”

Quella era una domanda molto buona, e la risposta sembrava ovvia. Non incoraggiavo gli uomini a chiamarsi l’un l’altro perché credevo di essere l’unico ad avere le risposte. Io ero il papà. E ora sembrava che fossi disposto a compromettere la mia autenticità per proteggere il prestigio della mia posizione.

Più tardi quello stesso giorno iniziai a parlare con qualcuno dei miei amici sul formare una vera società di mutuo aiuto, un gruppo di uomini cristiani che avrebbero vissuto le loro vite insieme apertamente come eguali, giocando come una squadra. L’idea trovò il favore di ogni amico con cui parlai.

Un paio di noi si trovò insieme per discutere ulteriormente questo concetto, e i contorni del gruppo iniziarono ad emergere. Ci saremmo concentrati sul formare relazioni fraterne, facilitando uno stile di vita di ravvedimento. Il nostro non sarebbe stato esattamente un gruppo di recupero, perché avrebbe avuto sia persone con una dipendenza sia persone con una potenziale dipendenza, uomini che si sarebbero resi conto dei pericoli dell’isolamento e volevano fuggire da essi. Al contrario di un classico incontro dei Dodici Passi, dove il pluralismo religioso può impedire ad alcuni cristiani di integrare completamente la loro fede con la loro esperienza, i nostri incontri sarebbero stati progettati specificamente per i seguaci di Gesù. Per aiutare a mantenere quella distinzione, avremmo ritradotto i Dodici Passi, appropriandoci dei principi che gli Alcolisti Anonimi avevano preso in prestito dalla Bibbia e riformulandoli nel tentativo di recuperarli per la chiesa. E in un’altra dipartita dal classico pensiero dei Dodici Passi, il nostro gruppo non avrebbe isolato i suoi membri in base ai loro peccati. Avremmo provato a fare questo viaggio insieme.

Il pastore Scotty mi aveva appena invitato a riempire il pulpito alla Christ Community Church per una imminente domenica, e stavo preparando un messaggio sull’isolamento maschile. Le storie di Sansone e Davide erano ancora recenti nella mia mente. Buttando giù dei possibili nomi per il gruppo, provai con “the Society of David,” ma quel nome sembrava troppo presuntuoso e anche un po’ grazioso – sembrava troppo qualcosa come i Promise Keepers. “Perché non la Samson Society?” suggerii. Perfetto.

Autore: Nate Larkin (tratto dal suo libro “Sansone e i monaci pirati”)