L’anestesia nascosta della pornografia

L’anestesia nascosta della pornografia

“Aggrappiamoci a Colui che dà a ciascuno di noi la vita; una vita abbondante”.

Non riesco a contare il numero di servizi di culto in cui mi sono sentito completamente insensibile. Attorno a me la gente piangeva, ballava o elevava delle grida appassionate al Signore. Avrei voluto avere la stessa sensibilità, la desideravo con tutto me stesso. Tutto ciò che avvertivo era il vuoto. Nient’altro. 

Il Catechismo di Westminster afferma che lo scopo principale dell’uomo è glorificare Dio, godendo della Sua presenza. Voglio essere onesto, la maggior parte delle volte, c’era in me poco o niente da gioire in Lui. La verità è che non trovavo nessun piacere, neanche nella dipendenza dalla pornografia.

È da un bel po’ che pensavo di scrivere e trasmettere in modo corretto questo articolo. Lo volevo fare, perché avevo scoperto che la pornografia mi faceva un brutto effetto: mi rendeva insensibile alla realtà. Nel bene e nel male. Riduceva il dolore acuto della sofferenza, quando si presentava nella mia vita, ma frenava anche le gioie più grandi, privandomi totalmente del buon umore.

Comprendo che gli uomini, ma anche le donne, si rivolgono alla pornografia perché nelle loro vite manca qualcosa. Vogliono scappare dalle parti sgradevoli e dolorose, ma finiscono per sfuggire anche dal bene.

A volte mi succedeva proprio così. Non potevo godere i tramonti, le escursioni in montagna, i giochi da tavolo con gli amici. Non ero contento di sedere in riva al mare. Non gioivo di quelle piccole cose, che semplicemente arricchiscono la vita di ognuno di noi. Non riuscivo a gioire di niente, perché la mia mente era altrove.

Avevo una scarsa percezione della realtà.

C.S. Lewis ha descritto correttamente il dolore che provavo:

“A volte è come un’ubriacatura leggera o come quando si batte la testa e ci si sente storditi. Tra me e il mondo c’è una sorta di coperta invisibile. Fatico a capire il senso di quello che mi dicono gli altri. O forse, fatico a trovare la voglia di capire.  È così poco interessante”.

Non ho pianto per sette anni. Non perché non volessi. Le lacrime non c’erano. I miei pozzi erano vuoti. E le mie emozioni svanite.

In preda alla mia dipendenza, mi chiedevo persino se avrei pianto se un familiare o un caro amico, fosse morto. Se fossi dovuto andare al funerale, sarei sicuramente rimasto seduto impassibile, in silenzio, con una faccia asciutta come le pianure occidentali.

La dipendenza è molto potente. Anche una dipendenza “non chimica”, come la pornografia, ha la capacità di riprogrammare il nostro cervello, senza che ce ne accorgiamo (qualsiasi persona istruita sa che ci sono molti processi neurochimici coinvolti nella dipendenza dalla pornografia).

Nel Salmo 51, Davide è profondamente pentito di aver commesso adulterio con Betsabea, e chiede continuamente a Dio di accettarlo di nuovo alla Sua presenza. Lo prega di risvegliare delle emozioni dentro di lui: “Fammi sentire gioia e letizia… Rendimi la gioia della tua salvezza”.  Il pentimento consiste nel ritornare a Dio e trovare in Lui la gioia. È anche il momento in cui facciamo cordoglio per averlo afflitto.

Quando guardo la persona di Gesù, vedo l’esatto opposto dell’insensibilità, ovvero qualcuno che viveva in pieno le sue emozioni. Vedo un uomo che ha pianto per la morte del suo caro amico. Nel mondo cristiano, sento spesso chiedere se si conosce il versetto più breve della Bibbia. Eccolo: “Gesù pianse”.

Ci prendiamo mai del tempo per pensare all’effetto che fanno queste due parole?

Dio pianse. Si, Dio… piange. E se vogliamo assomigliare a Gesù, dobbiamo vivere le nostre emozioni.

Sfuggire dai momenti difficili ed intorpidire il dolore non è ciò che Dio vuole per noi. Il nemico può attirarci con la promessa di una vita senza sofferenza, ma ciò che succederà è che la nostra realtà sarà offuscata. Essere come Dio, significa abbracciare la realtà che ci circonda e vivere le emozioni che Lui fa nascere dentro di noi. Senza sfuggire. Mi immagino Gesù sulla montagna, che grida in preghiera al Padre, per avere la Sua guida. Lo vedo nei cortili del tempio, con una rabbia ardente nei confronti delle ingiustizie. Ed eccolo lì nel giardino, nervoso e terrorizzato dalla sofferenza che sta per attraversare.

E mentre è appeso alla croce, distrutto e morente, gli viene offerto da bere, per alleviare il dolore. Questo miscuglio è preparato per ridurre l’agonia di coloro che soffrono le torture, per aiutarli a scivolare facilmente nella morte. Ma Gesù rifiutò di bere. Rifiutò di prendere parte a qualsiasi cosa che potesse ridurre la sua esperienza, nel bene e nel male, nella vita e nella morte.

Sant’Ireneo ha detto che “la gloria di Dio è l’uomo pieno di vita”. Gesù era pieno di vita. Dal momento in cui è uscito dal grembo di Maria, fino a quando gli gocciolava il sangue dalle dita, sulla terra in cui è stato crocifisso. In lui vedo un uomo che ha abbracciato ogni istante della Sua vita, e continua a farlo anche dal Suo trono.

Abbracciare la pornografia significa sfuggire alla vita.

Aggrappiamoci a Gesù, a Colui che dà a ciascuno di noi la vita, una vita abbondante.

Autore: Ethan Renoe